Tanti danno i numeri, ancora pochi il dato.
La marea di disoccupati e la moria delle imprese stanno a testimoniare il fallimento disastroso della cultura della dipendenza.
La scuola deve smettere di inculcare nei giovani l’idea che si andrà a lavorare per qualcuno.
Si va a lavorare per realizzare qualcosa e questo qualcosa si ottiene anche tramite il lavoro indipendente come alternativa al lavoro salariato perché il lavoro non è più tanto quello che si ha (il posto), quanto quello che si fa (l’attività lavorativa vera propria).
Quando però il pubblico invece di risolvere i problemi crea dipendenza, i dipendenti pubblici, le cose per il lavoro si complicano assai.
Se non si estirpa lo stereotipo in base al quale lo Stato deve garantire – direttamente o indirettamente – un posto di lavoro, non faremo altro che alimentare false aspettative, aggiungere disoccupati a disoccupati e, per questa via, estendere l’ingiustizia sociale.
Ma l’impegno e la fatica di tutti i giorni sono stati mortificati dai politici che non hanno mantenuto nessuna delle promesse liberali fatte all’elettorato.
Nell’economia reale non può più essere lo Stato a dare lavoro o a creare lavoro.
Da questa crisi non se ne esce per tornare dove si era prima. Ha smascherato le politiche collettiviste che ci hanno portato alla bancarotta, il pubblico non è più la soluzione, e la crescita non si può più falsificare con politiche deficitarie illiberali, ma proviene dall’impresa, dal fare impresa che è sempre la strada giusta per creare occupazione.
Non bisogna mai stancarsi di ripetere che il fare impresa è la strada maestra per creare lavoro.
Ogni impresa privata è parte di una ricchezza comune, costituisce un pezzo di benessere sociale del Paese.
Dalla salute delle nostre imprese dipende la possibilità di creare lavoro e occupazione, di garantire dignità alle famiglie, di assicurare istruzione e futuro ai nostri figli.